Stiamo letteralmente divorando il pianeta che ci ospita e, se continuiamo di questo passo, nulla potrà consentirci di garantire vita alle generazioni future. La notizia non è nuova, ma sembra davvero difficile tenerla a mente e comportarsi di conseguenza. Eppure dovremmo ricordarcela bene, soprattutto quando ci sediamo a tavola per consumare un pasto.
PIÙ CARNE PIÙ GAS SERRA
Se consideriamo le emissioni di gas serra, proprio ciò che mettiamo ogni giorno nel piatto è causa del cambiamento climatico con un impatto (31%) addirittura superiore a quello del riscaldamento (23,6%) e dei trasporti (18,5%). A incidere è soprattutto il consumo di carne, responsabile del 12% delle emissioni totali, mentre quello dei prodotti lattiero-caseari si attesta attorno al 5%.
Questa è la fotografia scattata dal Barilla Center for Food & Nutrition, istituzione non profit che analizza fattori economici, scientifici, sociali e ambientali connessi al cibo in un rapporto di causa-effetto. Il quadro della situazione è stato presentato in occasione di un corso di formazione, organizzato dalla Fondazione BCFN in collaborazione con Edizioni Ambiente e l’Ordine dei giornalisti della Lombardia, cui ho avuto il piacere di partecipare.
L’evento, svoltosi recentemente presso il Circolo della stampa di Milano a latere della presentazione della seconda edizione del libro Eating Planet. Cibo e sostenibilità: costruire il nostro futuro, ha affrontato temi di grande attualità: come rispondere alle sfide globali del sistema agroalimentare e come nutrire in modo sostenibile una popolazione mondiale in crescita, rimanendo entro i 2 °C di aumento della temperatura media terrestre.
COSA STIAMO RISCHIANDO
“Entro la fine del secolo – ha spiegato Riccardo Valentini, docente di Scienze dell’ambiente forestale e delle sue risorse presso l’Università della Tuscia nonché componente dell’Ipcc, la task force di scienziati Onu – si prevede un innalzamento della temperatura compreso tra i 3,2 e i 5,4 °C. Secondo le previsioni più ottimistiche, che considerano una progressiva riduzione delle emissioni di gas serra, questo aumento potrebbe essere compreso tra lo 0,9 e i 2,3 °C. I pericoli cui andiamo incontro sono davvero gravi: 3,5 °C in più sarebbero sufficienti a far scomparire la Groenlandia e la foresta amazzonica. L’equilibrio potrebbe essere mantenuto se ci attestassimo attorno ai 2 °C, anche se con solo 1,5 °C in più si correrebbe il rischio di far scomparire alcune piccole isole del Pacifico.”
Quella che dobbiamo vincere è dunque una sfida molto temibile: dal 1990 a oggi le emissioni di gas serra derivanti dall’agricoltura sono aumentate del 20% e dal 1960 sono addirittura raddoppiate; nel 2050 la Terra sarà abitata da circa 9 miliardi di individui, con il conseguente incremento della produzione agricola del 70%. Il quadro è reso ancora più desolante dallo sfruttamento del suolo (che, stando ai dati della Fao, è già gravemente danneggiato per il 25%) e dell’acqua dolce (oggi consumata al 70% proprio dall’agricoltura e dall’industria del cibo).
DOPO LA CONFERENZA DI PARIGI
Si sono sicuramente mossi in una buona direzione i 196 Paesi che hanno partecipato alla recente Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici. Però l’accordo, che prevede di mantenere il riscaldamento globale “ben al di sotto di 2° C” in più rispetto ai livelli preindustriali, diventerà vincolante solo quando lo avranno ratificato almeno 55 partecipanti.
Eppure di tempo per agire ce n’è veramente poco, poiché gli esperti sostengono che la tendenza deve essere invertita nel giro di dieci anni. In altre parole, ci dobbiamo dare una mossa e, soprattutto, non dobbiamo pensare che ogni cosa dipenda solo da chi ci governa.
I dati relativi alle emissioni di gas serra parlano chiaramente: non possiamo più credere che le nostre scelte alimentari siano determinanti solo per la salute personale; lo sono anche per quella della Terra, da cui peraltro dipende la nostra sopravvivenza.
LE VIRTÙ DELLA DOPPIA PIRAMIDE
Stando agli esperti del BCFN, il primo passo da compiere è l’adozione della doppia piramide alimentare e ambientale, che da una parte promuove la dieta mediterranea e dall’altra ne dimostra i benefici per l’uomo e l’ambiente.
Nel nostro Paese si sta verificando un progressivo distacco da questo modello, che difatti mostra come gli alimenti a minore impatto ambientale siano gli stessi per i quali i nutrizionisti consigliano un consumo maggiore e come quelli con un’impronta ambientale più marcata siano i medesimi che devono essere consumati con moderazione.
Oggi quasi 2 adolescenti su 10 sono in sovrappeso, mentre i giovani e gli adulti che praticano sport sono sempre meno (3 su 10). Se uniamo la vita sedentaria a un regime dietetico ricco di proteine animali e di grassi, proiettandoli in un quadro futuro, il costante aumento delle patologie cardiache, croniche e del diabete è destinato a diventare tangibile.
IL SIGNIFICATO DEL VERO BENESSERE
Stando a questi indicatori, l’Italia occupa ora il terzultimo posto in termini di “benessere attuale” davanti a Spagna e Grecia e dietro a nazioni quali Danimarca, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito, Svezia e Stati Uniti. Se consideriamo l’indice di sostenibilità del benessere delle generazioni future, il nostro Paese è seguito solo dalla Grecia. Questo significa che il concetto di “benessere” non può più basarsi esclusivamente su fattori economici. Forse è il caso di pensarci un po’ prima di sedersi a tavola.
Fotografie: Wikipedia.org, Barillacfn.com, tranne quella con indicazione di copyright
PER SAPERNE DI PIÙ
Barilla Center for Food and Nutrition, Eating Planet. Cibo e sostenibilità: costruire il nostro futuro, Edizioni Ambiente, 2016, 317 pagg.
10 pensieri su “COME NUTRIRSI SENZA DIVORARE IL PIANETA”